MOTOGP | ALLA SCOPERTA DEL TT ASSEN
Tre week-end consecutivi senza gare MotoGP rappresentano un intervallo di tempo enorme, eppure l’interesse per la classe regina non è scemato come molti temevano, complici i fuochi d’artificio prodotti dal mercato. Riepiloghiamo per i più distratti gli spostamenti di casacca previsti per l’anno venturo: Marc Marquez sarà nel team Ducati Factory in coppia con Pecco Bagnaia, Jorge Martin e Marco Bezzecchi disporranno delle Aprilia ufficiali mentre KTM ha già completato il suo roster perché sulle RC16 (scompare il marchio GASGAS) gestite da Tech3 saliranno Maverick Viñales ed Enea Bastianini.
Uno stravolgimento che non è piaciuto a molti appassionati che si chiedono con che spirito questi piloti potranno offrire il meglio nei restanti appuntamenti del 2024, sapendo che l’anno prossimo cambieranno formazione. Il primo di banco di prova per valutare le motivazioni del quintetto in questione e dei loro colleghi è il TT Assen. Se ci avete fatto caso non abbiamo scritto GP Olanda, o meglio ancora GP Paesi Bassi, essendo definite Olanda soltanto due delle dodici Province che compongono i Paesi Bassi.
Il week-end di Assen è l’unico del Mondiale a non essere etichettato Gran Premio perché si porta dietro la storica sigla TT, che sta per Tourist Trophy. Rispetto alla gara all’Isola di Man, però Assen assicura ampie vie di fuga, tanto che l’ultimo decesso su questa pista in occasione di un evento del Mondiale delle due ruote risale al lontano 1975. Peraltro, fatta eccezione per il 2020, quando la pandemia di Covid-19 portò al cancellazione del meeting, Assen ha sempre fatto parte del calendario iridato.
La pista è lunga 4,54 km ed è scaglionata da 12 curve a destra e 6 a sinistra. Il rettilineo più esteso non arriva nemmeno a 500 metri di lunghezza e ciò si traduce in velocità di punta che sfiorano a malapena i 310 km/h. Pur essendoci 18 curve i piloti della MotoGP utilizzano i freni soltanto 10 volte al giro.
Lo spiega Brembo, anche per quest’anno fornitore unico di tutte le moto della classe regina. Un monopolio che però non è equiparabile a quello di Michelin, non essendo sancito da alcun regolamento. In parole povere ciascun team può liberamente scegliere i componenti frenanti da utilizzare, ma stante la superiorità dei freni made in Italy, tutti optano da diverse stagioni per Brembo. Un dato sintetizza meglio di altri questa supremazia: l’ultima vittoria in 500 e in MotoGP di una moto priva di componenti frenanti Brembo risale addirittura al 21 maggio 1995 quando Daryl Beattie conquistò il GP Germania, al Nurburgring in sella alla Suzuki RGV500. Da quel giorno in classe regina nessuna moto priva di pezzi Brembo è riuscita a conquistare un solo GP.
Ad Assen invece l’ultima vittoria di una moto senza freni Brembo è del 1993, merito di Kevin Schwantz anch’egli con la Suzuki: l’anno precedente Assen fu teatro della tremenda caduta di Mick Doohan durante le qualifiche. L’australiano rimase incastrato sotto la sua Honda 500. A salvargli la gamba destra e la carriera fu il dottor Costa che lo prelevò furtivamente dall’ospedale dove era stato ricoverato.
Portatolo in Italia, cucì insieme le due gambe per un paio di settimane, permettendo così l’irrorazione da quella sana all’altra che pareva ormai spacciata. Doohan non aveva però più la forza per azionare il freno posteriore con il piede destro, così chiese aiuto ai tecnici Brembo. Il risultato fu la pompa a pollice appositamente progettata per dargli modo di azionare il freno posteriore senza utilizzare il pedale, vista la difficoltà di modulare la forza con la gamba offesa. Per Mick non fu facile adattarsi alla nuova soluzione ma quando affinò gli automatismi tornò ad essere imprendibile, tanto da conquistare cinque Mondiali di fila, sempre servendosi dei freni prodotti nella bergamasca.
Brembo ci ha messo a disposizione i dati previsti per la gara di Assen: in media i freni sono utilizzati per circa 27 secondi al giro, equivalenti al 29 per cento dell’intero GP. Lo sforzo non è però equamente ripartito tra le 10 frenate di cui sopra: ci sono curve come la 6 e la 7 in cui i freni sono utilizzati per rispettivamente 1,6 secondi e un secondo e mezzo, altre come le curve 3 e 5 in cui i piloti frenano per circa 3 secondi e altre ancora in cui il freno è in azione per un tempo maggiore.
A detta di Brembo la frenata più dura di Assen è quella in discesa alla prima curva (curva Haarbocht) perché le MotoGP scendono da 292 km/h a 106 km/h, perdendo quindi 186 km/h, in appena 4 secondi. Durante questo intervallo di tempo le MotoGP percorrono 208 metri e i piloti subiscono una decelerazione di 1,5 secondi. Per riuscirci ogni pilota esercita un carico di 5,4 kg sulla leva del freno mentre la pressione dell’impianto frenante cresce fino a raggiungere gli 11,5 bar.
Per fortuna alla curva 2 i freni non servono e ciò permette sia ai piloti che all’impianto frenante di rifiatare: un po’ di tempo senza utilizzo riduce la temperatura dei dischi in carbonio e delle pinze, evitando surriscaldamenti che potrebbero compromettere il funzionamento dei freni nei giri seguenti.
Tuttavia, Brembo ha adottato opportune contromisure anche per questi casi: ad Assen infatti i piloti utilizzano i freni in tutte le curve dalla 5 alla 10, comprese. Sei frenate di fila che però non inficiano lo stato di salute dell’impianto in carbonio, anche se complessivamente in queste 6 frenate i freni sono operativi per complessivi 14,2 secondi.
Di queste sei frenate la più tosta è alla curva 9 (De Bult), a causa di una riduzione di velocità da 246 km/h a 108 km/h in 3,4 secondi durante i quali le moto percorrono 159 metri.
Gli ingegneri di pista Brembo ritengono che delle 10 frenate al giro soltanto una sia particolarmente stressante per impianto frenante e pilota: la citata prima curva, non a caso l’unica in cui la decelerazione superi i 140 km/h. Quattro sono invece le frenate di categoria media: quelle alle curve 6, 9, 14 e 16. Cinque sono infine le frenate scarsamente impegnative: alle curve 3, 5, 7, 8 e 10.
Mettendo insieme tutti gli spazi di frenata di un giro, scopriamo che in MotoGP ad Assen i piloti percorrono la bellezza di 1,346 km al giro impegnati frenando: anche le frenate meno significative richiedono infatti 75 metri (curva 5) e 83 metri (curva 10) mentre tutte le altre superano il centinaio di metri, praticamente la lunghezza di un campo da calcio.
Sommando tutti gli sforzi delle 10 frenate in un giro ciascun pilota della MotoGP esercita un carico sulla leva del freno di oltre 34 kg. Non pochi e moltiplicati per i 26 giri di gara il totale sfiora i nove quintali a persona.
L’ennesima importanza dell’atletismo richiesto ai piloti attuali, chiamati a controllare per una quarantina di minuti moto che superano il quintale e mezzo, decisamente più pesanti rispetto alle 500 spinte dai motori due tempi che furono utilizzate fino al 2002, anno in cui in pista debuttarono le MotoGP a quattro tempi.
Giovanni Cortinovis
L’Autore: Giovanni Cortinovis
Trafficante di velocità, coltivatore diretto di statistiche, allevatore di storie bestiali.
Si guadagna da vivere come giornalista dal 2002.
Segue, dal vivo, le road races dal 2005, quando andò per la prima volta all’Isola di Man.
Da allora ha assistito a innumerevoli edizioni di Tourist Trophy, North West 200, Ulster GP, Cookstown 100, Tandragee 100, Armoy Road Races, Olivers Mount Spring Cup, Bush, Killalane, Macao GP.
Una piccola parte di quanto ha visto e appreso su questo universo l’ha riversato nel libro “North West 200: La corsa più bella al mondo” in vendita su Amazon, dove ha raccolto una valanga di recensioni entusiastiche.