ROAD RACES MANIA #2: QUEL BRAVUOMO DI JOEY DUNLOP
Una statua è un omaggio piuttosto frequente per chi ha saputo diventare un’icona. Essere onorati da due statue identiche, come nel caso di Joey Dunlop, è decisamente più raro. Il nordirlandese gode infatti di una scultura in bronzo posta sull’Isola di Man, a sovrastare la curva del Bungalow, e di un’altra a Ballymoney, il suo paese natale.
Entrambe lo ritraggono in sella ad una delle sue Honda, con le braccia conserte e il casco appoggiato sul serbatoio. A realizzarle fu l’artista manx Amanda Barton, con l’ausilio di oltre mezza tonnellata di bronzo: «È stata una procedura piuttosto difficile poiché era necessario molto lavoro tecnico» dichiarò l’autrice alla cerimonia di inaugurazione a Ballymoney, nell’aprile del 2002.
Dunlop aveva perso la vita il due luglio del 2000 in un meeting a Tallinn, capitale dell’Estonia, a 48 anni. Il suo corteo funebre fu preceduto da cinque poliziotti in moto, due per lato più un apripista, e fiancheggiato da sei marshals della North West 200 in divisa arancione, a mo’ di guardia d’onore. Oltre cinquantamila i presenti al funerale, cattolici e protestanti, repubblicani ed unionisti, tutti toccati dalle imprese (solo per citare le sue vittorie più importanti su strada: 26 Tourist Trophy, 24 Ulster GP e 13 NW200) e dall’umanità di Joey.
Erano invece alcune centinaia quando la statua fu svelata. Del pensiero della famiglia si fece portavoce il figlio Gary: «Siamo più felici che mai».
In quell’occasione, Bob McMillan, ex direttore generale di Honda Regno Unito, disse che Dunlop: «È stato una fonte di ispirazione come uomo, come personaggio e come padre».
David Cretney, allora Ministro del Turismo dell’Isola di Man aggiunse: «Oltre che per i suoi incredibili risultati, lo ricordiamo anche per le sue imprese umanitarie a favore dei bambini svantaggiati dell’Europa dell’Est. Era un uomo davvero speciale».
Eppure il credo di Joey Dunlop fu sempre uno solo: «Non volevo essere una superstar, volevo essere me stesso». Quando si impegnava per aiutare i più deboli lo faceva senza comunicarlo ai giornali perché non desiderava alcuna pubblicità. Ciò nonostante il suo impegno umanitario nell’Est del vecchio continente non poteva passare sottotraccia e nel febbraio del 1996 la corona britannica lo premiò con il titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Intero Britannico (OBE).
Joey si presentò con la moglie e tutti i figli a Buckingham Palace. Sembrava irriconoscibile nel suo completo nero con cravatta e cilindro grigio e senza i capelli arruffati: «Per me questo riconoscimento significa molto di più di qualunque gara vinta». In quello stesso anno l’ex calciatore juventino Ian Rush e il triplista Jonathan Edwards vennero insigniti con il titolo di Membro dell’Ordine dell’Impero Britannico (MBE), di categoria inferiore all’OBE, già conseguito da Joey nel 1986 per meriti sportivi.
Come ha raccontato il Reverendo John Kirkpatrick, cappellano onorario del Motor Cycle Union of Ireland, Dunlop era impegnato anche con i bambini e i malati dell’Ulster: «Ma non ne parlava e probabilmente non ne avreste mai saputo nulla se la Regina non gli avesse dato il premio».
Secondo quanto scrive Jimmy Walker il tutto iniziò quando una giovane infermiera nordirlandese di nome Siobhan Carter (residente a Portglenone, una ventina di chilometri da Ballymoney) ai tempi impegnata in un orfanotrofio rumeno, a Ungureni, nel distretto di Bacau, fece richiesta di cibo ai connazionali.
Gli orfanotrofi rumeni erano colmi di bambini, complice il decreto 770 promulgato dal dittatore Nicolae Ceasescu con il quale aveva bandito l’aborto e la contraccezione per le donne sotto i quarant’anni con meno di quattro figli. Per il capo dello stato rumeno: «Il feto è di proprietà dell’intera società. Chi evita di avere figli è un disertore che abbandona le leggi della continuità nazionale».
Per effetto di questa legge, in Romania l’indice di natalità si impennò ma si moltiplicò anche il numero di bambini indesiderati che vennero affidati agli orfanotrofi statali: oltre 170 mila infanti furono “ceduti” loro malgrado dalle famiglie indigenti alla pubblica amministrazione che li ammassò in 700 istituti per minori.
Nella struttura di Ungureni, squadre di 16 volontari britannici si succedevano con contratti di sei settimane per aiutare il personale di Caminului Spital Ungureni attraverso programmi educativi ad ampio spettro: musicoterapia, ludoterapia, logopedia, fisioterapia, autonomia personale.
Essendo le tariffe di spedizione spropositate, Lexis Kerr, amico di Joey gli domandò se si sentisse di portare di persona il cibo raccolto. Kirkpatrick aiutò Joey a preparare i documenti per il viaggio, nell’inverno del 1990. Alla guida del furgone che usava per le gare, un Mercedes Y11 D, al quale fu agganciato un carrello per aumentarne la portata, si mise lo stesso Dunlop.
Non certo una passeggiata, considerando gli oltre seimila km tra andata e ritorno, le strade di trenta anni fa e i puntigliosi posti di blocco alle frontiere: Dunlop si prese tutto il tempo necessario, viaggiando ad andatura moderata per non rischiare guai meccanici che avrebbero compromesso la consegna e restava a dormire a bordo, per evitare che gli rubassero il prezioso carico.
Siobhan ricordò che «All’arrivo Joey sembrava che avesse avuto un leggero shock e che fosse in ipotermia» anche perché c’era una temperatura di meno trenta gradi. Pur arrivato a destinazione con l’intero bottino, Dunlop temeva che la polizia locale si impadronisse della merce, per cui la passò dalle finestre alle infermiere che la accatastarono nel loro dormitorio.
Nel novembre del 1991 quest’ente di beneficienza rumeno, che aveva ottenuto personalità giuridica il mese precedente, fu riconosciuto dalla Charity Commission for England and Wales. La sua attività consisteva (l’otto giugno 2021 ha cessato di esistere) in «Soccorso in caso di bisogno, disagio o emergenza a bambini e giovani in Romania che soffrono di handicap fisici, mentali o psicologici e definizione di posti di residenza».
Per il secondo viaggio, Joey puntò il suo van in un campo di rifugiati in Ungheria e a questo ne seguirono altri. In un’occasione, al ritorno dall’Albania fu fermato ad un checkpoint. Volevano 25 sterline per farlo passare ma lui, irremovibile, spiegò cosa stava facendo e chi era. Si convinsero solo quando videro sul van una copia di Motor Cycle News con la foto dello stesso Joey. L’agente fu talmente entusiasta da convincere il capo della polizia a rilasciargli una lettera che certificava chi fosse e che gli permise di superare senza problemi i successivi posti di blocco.
L’opera caritatevole non si interruppe con la sua morte. Cinque mesi dopo fu istituito il Joey Dunlop Injures Riders’ Fund, ribattezzato nel 2003 Joey Dunlop Foundation: l’intento iniziale era di raccogliere i fondi per costruire un ascensore così da permettere ai disabili, specie ex piloti, di assistere al TT in tribuna. Raggiunto quest’obiettivo l’associazione ha proseguito la propria attività filantropica destinando le donazioni all’accoglienza di disabili in visita all’Isola di Man. A detta della moglie Linda era uno dei desideri espressigli da Joey prima di morire.
Nello stesso 2003, in occasione del terzo anniversario della morte, i membri del Lost Riders Motorcycle Club decisero di seguire le sue orme, andando fino a Tallinn. Per restare fedeli alle gesta del loro mito, riempirono un container da quaranta piedi (12 metri) e quattro furgoni, per rifornire cinque orfanotrofi. «Abbiamo tirato fuori 70 sedie a rotelle – ricordò l’allora presidente Joe Carey – i pazienti non ne avevano mai vista una motorizzata prima. Ci piaceva l’altruismo di Joey, non ha mai considerato il mondo un suo regno, ha sempre restituito dopo aver ottenuto».
Giovanni Cortinovis
L’Autore: Giovanni Cortinovis
Trafficante di velocità, coltivatore diretto di statistiche, allevatore di storie bestiali.
Si guadagna da vivere come giornalista dal 2002.
Segue, dal vivo, le road races dal 2005, quando andò per la prima volta all’Isola di Man.
Da allora ha assistito a innumerevoli edizioni di Tourist Trophy, North West 200, Ulster GP, Cookstown 100, Tandragee 100, Armoy Road Races, Olivers Mount Spring Cup, Bush, Killalane, Macao GP.
Una piccola parte di quanto ha visto e appreso su questo universo l’ha riversato nel libro “North West 200: La corsa più bella al mondo” in vendita su Amazon, dove ha raccolto una valanga di recensioni entusiastiche.